Personale d'arte contemporanea di Claudio Bettolo a cura di Lorenzo Argentino (con testo critico e presentazione di Sonia Patrizia Catena) presso lo 'Spazio 2' dell'Associazione Circuiti Dinamici in Via Giovanola 19/C ad Abbiategrasso dal 20 febbraio al 7 marzo 2012. Vernissage Lunedì 20 febbraio 2012 alle ore 18.30
"Lo sguardo è sordo come un’ ossessione che implode nel silenzio. Il colore attutito, privo di ogni splendore cattura, deforma, scioglie e confonde. Lo spazio stringe in una morsa la possibilità nel momento in cui ne smaschera la chiusura: ogni sviluppo nell’istante in cui è abbozzato è già impossibile, compresso, strozzato. La pupilla assente o appannata, la voce inghiottita, la quasi totale assenza di gesto: l’identità in bilico sul mondo risucchiata in una stanza dove l’unica finestra è questa, su cui l’artista ossessivamente ritorna, per misurare lo scacco di ogni relazione con ciò che sta fuori. E ogni scelta, ogni intenzione rimbalza al via di un gioco che in un ricorso infinito precipita sempre sul suo grado zero. È quel punto in cui l’identità – non ancora contaminata dalla vita – cerca definizione, riscontro, riconoscimento nell’altro. Ma ogni tentativo di aprire un varco è frustrato da un’ impossibilità insuperabile. Il desiderio costretto sui binari di un infinito cattivo che inquieta come l’abissoinscenato da un gioco di specchi. L’immagine si ripete, polverizzato il senso e dissociata l’anima dai suoi simulacri. Ci sono, ma non sono presente. Esisto, ma non vivo. Guardo senza vedere, tento di parlare, ma sono solo suoni inarticolati, cerco senza risposte per tornare ai dubbi, alle incognite inevase, ai misteri che mi assorbono. Il corpo è il primo mistero, il veicolo del ritorno al grado zero dell’identità in cerca di definizione e anche la possibilità di entrare in relazione con l’altro, il mondo, ciò che sta fuori e colui che mi incontra. Eppure questa possibilità viene colta da Bettolo nel momento in cui viene negata, risucchiata dal nulla: la finestra ha l’opacità di una prigione, l’ambiente circostante è uno spazio elastico che comprime e deforma la figura e la schiaccia. In questo azzeramento le forme umane diventano quasi animali: scimmia, cane, lupo – attonito, frastornato, inquieto. La natura ferina che esce dal sommerso allontana ogni spiraglio di comprensione. È allora la violenza brutale la via suggerita per rompere la gabbia di cristallo che ottunde i nostri slanci? Neppure. L’esplosione è scongiurata dal silenzio, dalla stanchezza, dal rifiuto che tutto caccia nell’abisso della mancanza di eventi. Forse nemmeno vale la pena. Forse siamo condannati a un desiderio mai appagato." - Testo a cura di Sonia Patrizia Catena
"Lo sguardo è sordo come un’ ossessione che implode nel silenzio. Il colore attutito, privo di ogni splendore cattura, deforma, scioglie e confonde. Lo spazio stringe in una morsa la possibilità nel momento in cui ne smaschera la chiusura: ogni sviluppo nell’istante in cui è abbozzato è già impossibile, compresso, strozzato. La pupilla assente o appannata, la voce inghiottita, la quasi totale assenza di gesto: l’identità in bilico sul mondo risucchiata in una stanza dove l’unica finestra è questa, su cui l’artista ossessivamente ritorna, per misurare lo scacco di ogni relazione con ciò che sta fuori. E ogni scelta, ogni intenzione rimbalza al via di un gioco che in un ricorso infinito precipita sempre sul suo grado zero. È quel punto in cui l’identità – non ancora contaminata dalla vita – cerca definizione, riscontro, riconoscimento nell’altro. Ma ogni tentativo di aprire un varco è frustrato da un’ impossibilità insuperabile. Il desiderio costretto sui binari di un infinito cattivo che inquieta come l’abissoinscenato da un gioco di specchi. L’immagine si ripete, polverizzato il senso e dissociata l’anima dai suoi simulacri. Ci sono, ma non sono presente. Esisto, ma non vivo. Guardo senza vedere, tento di parlare, ma sono solo suoni inarticolati, cerco senza risposte per tornare ai dubbi, alle incognite inevase, ai misteri che mi assorbono. Il corpo è il primo mistero, il veicolo del ritorno al grado zero dell’identità in cerca di definizione e anche la possibilità di entrare in relazione con l’altro, il mondo, ciò che sta fuori e colui che mi incontra. Eppure questa possibilità viene colta da Bettolo nel momento in cui viene negata, risucchiata dal nulla: la finestra ha l’opacità di una prigione, l’ambiente circostante è uno spazio elastico che comprime e deforma la figura e la schiaccia. In questo azzeramento le forme umane diventano quasi animali: scimmia, cane, lupo – attonito, frastornato, inquieto. La natura ferina che esce dal sommerso allontana ogni spiraglio di comprensione. È allora la violenza brutale la via suggerita per rompere la gabbia di cristallo che ottunde i nostri slanci? Neppure. L’esplosione è scongiurata dal silenzio, dalla stanchezza, dal rifiuto che tutto caccia nell’abisso della mancanza di eventi. Forse nemmeno vale la pena. Forse siamo condannati a un desiderio mai appagato." - Testo a cura di Sonia Patrizia Catena
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